La Cassazione penale, sez. II, ha stabilito che la mancata restituzione di una somma ricevuta in acconto prezzo di un preliminare successivamente risolto, non costituisce appropriazione indebita, laddove il denaro non abbia ricevuto uno specifico vincolo di destinazione al momento del conferimento.
“L’essenza ed il fondamento del reato di appropriazione indebita consiste nella lesione del diritto di proprietà o di altro diritto reale mediante l’abuso di cosa o denaro altrui: infatti, come hanno precisato le SSUU con la sentenza n 1327/2005, nell’appropriazione indebita “il denaro o la cosa mobile di cui l’agente si appropria, non fanno mai parte ab origine del “patrimonio” del possessore, ma si tratta sempre di denaro o di cose di “proprietà” diretta od indiretta di altri, che pur confluendo per una determinata ragione nel “patrimonio” dell’agente, non divengono, proprio per il vincolo di destinazione che le caratterizza, di sua proprietà, in deroga – come espressamente previsto dall’art. 646 c.p., ai principi del diritto civile in tema di acquisto della proprietà delle cose fungibili (cfr. Cass., sez. 2^, 17 giugno 1977, n. 2445, Pomar, RV. 137092).
Non potrà invece ritenersi responsabile di appropriazione indebita colui che non adempia ad obbligazioni pecuniarie cui avrebbe dovuto far fronte con quote del proprio patrimonio non conferite e vincolate a tale scopo.
“Ed è proprio in applicazione di tali principii che, ad es., questa Corte ha ritenuto la configurabilità del delitto di appropriazione indebita in una fattispecie in cui al denaro consegnato perchè fossero estinte delle ipoteche (Cass. 47533/2015 riv 266370) o pagati i diritti doganali (Cass. 25281/2016 Rv. 267013), il possessore dette una destinazione diversa. La questione, quindi, alla fin fine, si risolve nello stabilire se l’acconto prezzo relativo ad un preliminare che la parte promissaria acquirente versa al promittente venditore, abbia un vincolo di destinazione ovvero entri a far parte del patrimonio dell’accipiens sicchè, stante la fungibilità del denaro, è ipotizzabile solo un obbligo di restituzione di natura civilistica. Sul punto, ritiene questa Corte – pur prendendo atto della contraria decisione di Cass. 48136/2013 rv. 257483 – di dover dare continuità a quella giurisprudenza secondo la quale “la mancata restituzione della caparra non configura l’ipotesi criminosa di cui all’art. 646 c.p., difettando il presupposto essenziale dell’impossessamento di cosa altrui, poichè la somma (o la cosa fungibile) data a tale titolo passa nel patrimonio dell’accipiens, il quale ne diventa proprietario ed è tenuto in caso di adempimento ad imputarla alla prestazione dovutagli e in caso di inadempimento alla restituzione (trattandosi di cose fungibili) di danaro o cose dello stesso genere in quantità doppia”: Cass. 5732/1982 riv 154152; Cass. 24669/2007 ha ribadito che ove la somma “non sia stata corrisposta al percettore con uno specifico mandato atto a tracciare la destinazione finale della somma stessa – il che determinerebbe in capo all’accipiens la posizione di mero detentore del denaro che resterebbe fino all’esecuzione del mandato di proprietà del dante causa – ma sia stata invece erogata a titolo di prezzo, parziale o totale di una normale compravendita, neppure l’ipotesi della appropriazione indebita può essere configurata.”