Cass. civ., 13 febbraio 2020 n. 3661
Con una sentenza, in punto di diritto ineccepibile nelle motivazioni, la Suprema Corte ha ritenuto che, ai fini del riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge assumono rilievo la capacità di quest’ultimo di procurarsi i propri mezzi di sostentamento e le sue potenzialità professionali e reddituali piuttosto che le occasioni concretamente avute dall’avente diritto di ottenere un lavoro. Se la solidarietà post coniugale si fonda sui principi di autodeterminazione e autoresponsabilità, non si potrà che attribuire rilevanza alle potenzialità professionali e reddituali personali, che l’ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva facendosi carico delle scelte compiute e della propria responsabilità individuale, piuttosto che al contegno, deresponsabilizzante e attendista di chi si limiti ad aspettare opportunità di lavoro riversando sul coniuge più abbiente l’esito della fine della vita matrimoniale.
Astrattamente, le decisione non presenta motivi di censura, tuttavia, se calata in un contesto sociale ed economico specifico, a prescindere dal particolare contesto dovuto all’emergenza sanitaria, in cui la possibilità di trovare un’occupazione non sempre risulta agevole, potremmo trovare motivi di riflessione e perplessità quantomeno sul bilanciamento tra i criteri presi ad esame dalla Corte. Personalmente, il principio solidaristico, seppur anch’esso bilanciato con altri criteri ormai consolidati in giurisprudenza, quale ad esempio la durata del rapporto coniugale, la capacità reddituale, etc., dovrebbe far spostare la bilancia verso il coniuge “più debole”.