Mi è stato chiesto un parere legale, da parte di lavoratori (dipendenti pubblici) non vaccinati, soprattutto per evitare di dover sostenere spese continue per i tamponi per accedere ai luoghi di lavoro, per avere una soluzione diversa dalla vaccinazione.
Alla domanda: sapreste consigliarmi come potermi muovere al meglio in questa situazione, la mia risposta, non apprezzata, è la vaccinazione. Non volendo entrare nel merito delle ragioni di chi non si vuole vaccinare, il mio consiglio è fondato, come dovrebbe essere quello di un professionista, sul principio che un eventuale contenzioso con l’amministrazione, datrice di lavoro, vedrebbe il lavoratore soccombente.
L’orientamento della giurisprudenza, formatasi in questi ultimi mesi nei Tribunali di merito, tra cui Roma, Modena, Verona, nonché la giurisprudenza amministrativa (v. Consiglio di Stato), è di non accogliere i ricorsi dei lavoratori, specialmente in ambito sanitario, in ragione della tipologia delle mansioni espletate e della specificità del contesto lavorativo e dell’utenza seguita o servita, promossi contro l’assolvimento dell’obbligo vaccinale .
Il rifiuto della somministrazione, non giustificato da cause di esenzione e da specifiche condizioni cliniche, costituisce impedimento di carattere oggettivo all’espletamento della prestazione lavorativa.
Per queste ragioni, per non affollare gli uffici giudiziari con ricorsi che difficilmente avrebbero probabilità di successo, non per una posizione ideologica, il mio parere è e rimane quello di rispettare l’obbligo vaccinale laddove, per la categoria di appartenenza, sia stata disposta l’obbligatorietà.