Civile Sent. Sez. Lavoro n. 6497/ 2021 – sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione
La vicenda va preliminarmente inquadrata nel contesto normativo di riferimento. Il d. Igs. n. 216/2003, nel dare “Attuazione alla direttiva 2000/78/qE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”, ha stabilito, tra l’altro, che “Il principio di parità di trattamento senza distinzione … di handicap … si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale” con specifico riferimento anche alla seguente area: “occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento” (art. 3, comma 1, lett. b).
A seguito della condanna dell’Italia, da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per inadempimento alla citata direttiva, il d.l. 28 giugno 2013, n. 76, ha inserito nel testo dell’art. 3 del d. Igs. n. 216/2003, un comma 3 bis del seguente tenore: “Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori“.
Nel diritto interno si rinviene una disciplina settoriale nella I. 12 marzo 1999, n. 68, recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” attraverso “servizi di sostegno e di collocamento mirato” che prevede, tra l’altro, che i lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia“, questi non costituiscono giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori” (art. 4, co. 4, I. n. 68 del 1999).
Altra fonte interna è rappresentata dall’art. 42 del d. Igs. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, secondo il quale il datore di lavoro, ove le misure indicate dal medico competente prevedano una inidoneità alla mansione specifica, “adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori“.
Sul piano della tutela, per il caso del licenziamento del lavoratore in condizione di inidoneità fisica o psichica ovvero di disabilità, il comma 7 dell’art. 18 della I. n 300 del 1970, come modificato dalla I. 28 giugno 2012 n. 92, ha previsto l’applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro e del pagamento di un’indennità non superiore a 12 mensilità per il caso in cui si accerti “il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della I. n. 68 del 1999, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore.
La Corte di Cassazione ha cercato di operare, nel quadro complesso, frutto di successive stratificazioni normative, di livello interno e internazionale, la sua funzione nomofilattica, ritenendo che gli “accomodamenti ragionevoli“, in tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di handicap, sussiste l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro ‘ai fini della legittimità del recesso, secondo una interpretazione conforme agli obiettivi della direttiva 2000/78/CE.
Conseguentemente la Corte ha ribadito il principio che, ai fini della legittimità del licenziamento del lavoratore per inidoneità fisica sopravvenuta, sussiste l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi, si è ritenuto che gli stessi debbano essere adottati “secondo il parametro (e con il limite) della ragionevolezza” e che in particolare occorre tenere conto “del limite costituito dall’inviolabilità in peius (art. 2103 c.c.) delle posizioni lavorative degli altri prestatori di lavoro”, nonché evitare “oneri organizzativi eccessivi (da valutarsi in relazione alle peculiarità dell’azienda ed alle relative risorse finanziarie)”, stante l’esigenza del “mantenimento degli equilibri finanziari dell’impresa”.