Prendendo spunto da una recente sentenza della Corte di Appello di Perugia (25 ottobre 2023) si registra una tendenza della giurisprudenza, in tema di permessi retribuiti ex articolo 104, non uniforme e talvolta contrastante. In alcuni casi, infatti, si è preferita una linea rigida, in virtù del principio della buona fede e pertanto si è deciso che il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex articolo 33 della legge 104/1992, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad un’altra attività, integrasse l’ipotesi dell’abuso di diritto. Tale condotta risulterebbe lesiva della buona fede, sottraendosi illegittimamente alla prestazione lavorativa. Peraltro, anche nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico vi sarebbe violazione dell’affidamento riposto nel dipendente integrando un’indebita percezione dell’indennità e uno sviamento dell’intervento assistenziale.
Diversamente, in altre pronunce, è stato deciso che solo ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto, ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo, che genera la responsabilità del dipendente. La recente pronuncia della Corte di Appello di Perugia si inserisce in questo filone giurisprudenziale, secondo la quale la condotta del dipendente che abbia utilizzato un numero non significativo di ore di permesso, rispetto al totale di quelle riconosciute, per svolgere attività che neppure indirettamente integrano gli estremi dell’assistenza al familiare disabile, come appunto nel caso del jogging esaminato dalla Corte territoriale, è rilevante sotto il profilo disciplinare, ma non è di una tale gravità da minacciare irreparabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro. Conclude la Corte, in questo caso, che il licenziamento è illegittimo.
Circolare ispettorato nazionale del lavoro n. 1 del 16.02.2022
L’art. 13 del D.L. n. 146/2021, come convertito dalla L. n. 215/2021, ha introdotto importanti modifiche all’art. 37 del D.Lgs. n. 81/2008 che disciplina gli obblighi formativi in materia di salute e sicurezza del lavoro.
Con la presente circolare si forniscono le prime indicazioni, condivise con l’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 1410 del 16 febbraio 2022, con specifico riferimento alle novità che, in materia di formazione, interessano datori di lavoro, dirigenti e preposti.
Con successiva nota saranno fornite indicazioni in relazione alle ulteriori novità introdotte dal D.L. n. 146/2021 non affrontate in questa sede.
Una prima novità è contenuta nel nuovo comma 7 del citato art. 37, secondo il quale “il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti ricevono un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, secondo quanto previsto dall’accordo di cui al comma 2, secondo periodo”.
La disposizione individua anzitutto, quale nuovo soggetto destinatario degli obblighi formativi, il datore di lavoro il quale, unitamente ai dirigenti ed ai preposti, deve ricevere una “adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico” secondo quanto previsto da un accordo da adottarsi in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Alla Conferenza è infatti demandato il compito di adottare, entro il 30 giugno 2022, “un accordo nel quale provvede all’accorpamento, alla rivisitazione e alla modifica degli accordi attuativi del presente decreto in materia di formazione, in modo da garantire:
a) l’individuazione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione obbligatoria a carico del datore di lavoro;
b) l’individuazione delle modalità della verifica finale di apprendimento obbligatoria per i discenti di tutti i percorsi formativi e di aggiornamento obbligatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro e delle modalità delle verifiche di efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa”.
Per quanto concerne il datore di lavoro, l’accordo demandato alla Conferenza costituisce dunque elemento indispensabile per l’individuazione del nuovo obbligo a suo carico. Sarà infatti l’accordo a determinare non soltanto la durata e le modalità della formazione ma anche i contenuti minimi della stessa, pertanto la verifica circa il corretto adempimento degli obblighi di legge potrà correttamente effettuarsi solo una volta che sia stato adottato il predetto accordo.
dirigenti e preposti
Per quanto concerne l’individuazione degli obblighi formativi a carico dei dirigenti e dei preposti va anzitutto ricordato che la precedente formulazione del comma 7 dell’art. 37 già prevedeva obblighi formativi a loro carico, stabilendo che “i dirigenti e i preposti ricevono a cura del datore di lavoro, un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro. I contenuti della formazione di cui al presente comma comprendono:
a) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi; b) definizione e individuazione dei fattori di rischio; c) valutazione dei rischi; d) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione”. In sostituzione di tale formulazione il legislatore oggi richiede, anche nei confronti dei dirigenti e deipreposti, una “un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propricompiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, secondo quanto previsto dall’accordo di cui al comma 2, secondo periodo”, rimettendone dunque la disciplina alla Conferenza.
Inoltre, con specifico riferimento alla figura del preposto, il nuovo comma 7-ter stabilisce che “per assicurare l’adeguatezza e la specificità della formazione nonché l’aggiornamento periodico dei preposti ai sensi del comma 7, le relative attività formative devono essere svolte interamente con modalità in presenza e devono essere ripetute con cadenza almeno biennale e comunque ogni qualvolta sia reso necessario in ragione dell’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi”.
A fronte di tale nuovo quadro normativo occorre dunque formulare alcune osservazioni.
La sostituzione del comma 7 dell’art. 37 che disciplinava gli obblighi formativi a carico di dirigenti e preposti con una formulazione che prevede una formazione “adeguata e specifica” secondo quanto previsto dall’accordo da adottarsi in Conferenza entro il 30 giugno 2022, non fa venire meno, nelle more della sua adozione, l’obbligo formativo a loro carico.
In assenza del nuovo accordo dirigenti e preposti dovranno pertanto essere formati secondo quanto già previsto dal vigente accordo n. 221 del 21 dicembre 2011 adottato dalla Conferenza permanente ai sensi del primo periodo del comma 2 dell’art. 37 del D.Lgs. n. 81/2008 e che non è stato interessato dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 146/2021.
Con specifico riferimento alla figura del preposto, tenuto conto di quanto già previsto dal comma 7- ter dell’art. 37 già citato, occorre inoltre specificare quanto segue.
I requisiti della adeguatezza e specificità della formazione del preposto, da garantire attraverso modalità interamente in presenza e periodicità almeno biennale, attengono evidentemente e complessivamente ai contenuti della formazione che sarà declinata entro il 30 giugno 2022 in sede di Conferenza, in quanto riferiti alla formazione di cui al nuovo comma 7 dell’art. 37 (e non più genericamente alla formazione dei lavoratori di cui al comma 2 dello stesso articolo) che a sua volta rinvia specificatamente al secondo periodo del comma 2 e cioè alle scelte che saranno effettuate in Conferenza.
Pertanto, anche tali requisiti andranno verificati in relazione alla nuova disciplina demandata alla Conferenza alla quale, così come del resto già avvenuto in occasione dell’accordo del 2011, occorrerà riferirsi in relazione alla introduzione di un periodo transitorio utile a conformarsi alle nuove regole (v. in particolare par. 10 dell’accordo n. 211 del 21 dicembre 2011 recante “Disposizioni transitorie”).
Obblighi formativi e prescrizione
Come già chiarito, gli obblighi formativi in capo al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti saranno declinati dal nuovo accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, da adottarsi entro il 30 giugno p.v.
Ne consegue che i nuovi obblighi in capo a tali soggetti, ivi comprese le modalità di adempimento richieste al preposto (formazione in presenza con cadenza almeno biennale), non potranno costituireelementi utili ai fini della adozione del provvedimento di prescrizione ai sensi del D.Lgs. n. 758/1994.
Obbligo di addestramento
Altra novità introdotta in sede di conversione del D.L. n. 146/2021 riguarda gli obblighi di addestramento.
Il comma 5 dell’art. 37 già prevedeva che l’addestramento deve avvenire “da persona esperta e sul luogo di lavoro”. Il legislatore, in tal caso, ha inteso specificare che “l’addestramento consiste nella prova pratica, per l’uso corretto e in sicurezza di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale; l’addestramento consiste, inoltre, nell’esercitazione applicata, per le procedure di lavoro in sicurezza. Gli interventi di addestramento effettuati devono essere tracciati in apposito registro anche informatizzato”.
Trattasi dunque di contenuti obbligatori della attività di addestramento che trovano immediata applicazione, anche per quanto concerne il tracciamento degli addestramenti in un “apposito registro informatizzato” che riguarderà, evidentemente, le attività svolte successivamente all’entrata in vigore del provvedimento e cioè dal 21 dicembre 2021.
Ne consegue che la violazione degli obblighi di addestramento si realizza anche qualora venga accertata l’assenza della “prova pratica” e/o della “esercitazione applicata” richieste dalla nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 146/2021. Non rileva ai fini sanzionatori invece il tracciamento dell’addestramento nel registro informatizzato, elemento comunque utile sotto il diverso profilo delle procedure accertative e rispetto al quale sarà possibile l’emanazione di una disposizione.
Importi massimi dei trattamenti di integrazione salariale, dell’assegno di integrazione salariale e dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del Credito, dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del Credito Cooperativo, dei trattamenti di disoccupazione NASpI, DIS-COLL e ALAS, dell’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa
OGGETTO:
SOMMARIO:
(ISCRO), dell’indennità di disoccupazione agricola e dell’assegno per le attività socialmente utili relativi all’anno 2022
Si riporta la misura, in vigore dal 1° gennaio 2022, degli importi massimi dei trattamenti di integrazione salariale, dell’assegno di integrazione salariale e dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del Credito, dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del Credito Cooperativo, delle indennità di disoccupazione NASpI, DIS-COLL, ALAS, dell’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO), dell’indennità di disoccupazione agricola, nonché la misura dell’importo mensile dell’assegno per le attività socialmente utili.
INDICE
1. Premessa 2. Cassa integrazione ordinaria (CIGO), cassa integrazione salariale operai agricoli (CISOA), cassa integrazione straordinaria (CIGS) e assegno di integrazione salariale del FIS 3. Fondo Credito a) Assegno di integrazione salariale b) Assegno emergenziale 4. Fondo Credito Cooperativo a) Assegno emergenziale 5. Indennità di disoccupazione NASpI 6. Indennità di disoccupazione DIS-COLL 7. Indennità di disoccupazione agricola 8. Indennità di disoccupazione a favore dei lavoratori autonomi dello spettacolo (ALAS) 9. Indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO) 10. Assegno per attività socialmente utili
1. Premessa
L’articolo 3, comma 6, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, prevede che, con effetto dal 1° gennaio di ciascun anno, a decorrere dall’anno 2016, gli importi del trattamento di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 3, comma 5, del decreto citato, nonché la retribuzione mensile di riferimento, comprensiva dei ratei di mensilità
aggiuntive, da prendere a riferimento quale soglia per l’applicazione del massimale, siano aumentati nella misura del 100% dell’aumento derivante dalla variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
Con la circolare n. 18 del 1° febbraio 2022, sono state illustrate, tra l’altro, le linee di indirizzo e le prime indicazioni in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, alla luce delle modifiche introdotte dalla legge 30 dicembre 2021, n. 234.
Tra le principali modifiche, si segnala l’articolo 1, comma 194, lettera a), della legge n. 234/2021 che, dopo il comma 5 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 148/2015, introduce il comma 5-bis che, per i trattamenti relativi a periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa decorrenti dal 1° gennaio 2022, stabilisce il superamento dei previsti due massimali per fasce retributive attraverso l’introduzione di un unico massimale – il più alto – annualmente rivalutato secondo il suddetto indice ISTAT, che prescinde dalla retribuzione mensile di riferimento dei lavoratori.
Pertanto, con la presente circolare viene indicata la misura, in vigore dal 1° gennaio 2022, dell’importo massimo del trattamento di cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, dell’assegno di integrazione salariale del Fondo di integrazione salariale (FIS) e del Fondo di solidarietà del Credito, nonché dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del Credito, dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del Credito Cooperativo, dell’indennità di disoccupazione NASpI, dell’indennità di disoccupazione DIS-COLL, dell’indennità di disoccupazione agricola, dell’indennità di disoccupazione a favore dei lavoratori autonomi dello spettacolo (ALAS), nonché la misura dell’importo mensile dell’assegno per le attività socialmente utili.
2. Cassa integrazione ordinaria (CIGO),cassa integrazione salariale operai agricoli (CISOA), cassa integrazione straordinaria (CIGS) e assegno di integrazione salariale del FIS
Nella tabella che segue, si riporta l’importo massimo mensile dei trattamenti di integrazione salariale di cui al citato articolo 3, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 148/2015, in vigore dal 1° gennaio 2022, che, come già evidenziato, prescinde dall’importo della retribuzione mensile di riferimento.
L’importo del massimale è indicato, rispettivamente, al lordo e al netto della riduzione prevista dall’articolo 26 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, che, attualmente, è pari al 5,84%.
Trattamenti di integrazione salariale di cui all’art. 3, comma 5-bis
Importo lordo (euro)
Importo netto (euro)
1.222,51
1.151,12
Detto importo massimo deve essere incrementato, in relazione a quanto disposto dall’articolo 2, comma 17, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nella misura del 20% per i trattamenti di integrazione salariale concessi in favore delle imprese del settore edile e lapideo per intemperie stagionali, come da tabella che segue.
La previsione dell’importo massimo delle prestazioni, di cui all’articolo 3, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 148/2015, non si applica ai trattamenti concessi per le intemperie stagionali nel settore agricolo, stante quanto disposto dall’articolo 18, comma 2, del medesimo decreto legislativo.
3. Fondo Credito a) Assegno di integrazione salariale
Si riportano i massimali mensili previsti dall’articolo 10, comma 2, del D.I. n. 83486/2014, per l’assegno di integrazione salariale, aggiornati per l’anno 2022, nonché le retribuzioni mensili di riferimento per l’applicazione degli stessi.
Trattamenti di integrazione salariale – settore edile (intemperie stagionali)
Importo lordo (euro)
Importo netto (euro)
1.467,01
1.381,34
Massimali assegno di integrazione salariale
Retribuzione mensile lorda (euro)
Massimale (euro)
Inferiore a 2.225,74
1.208,83
Compresa tra 2.225,74 – 3.518,34
1.393,33
Superiore a 3.518,34
1.760,23
b) Assegno emergenziale
Si riportano i massimali mensili previsti dall’articolo 12, comma 3, del D.I. n. 83486/2014, per l’assegno emergenziale, aggiornati per l’anno 2022, nonché le retribuzioni mensili di riferimento per l’applicazione degli stessi.
L’importo indicato in prima fascia, calcolato sull’80% della retribuzione lorda mensile, è indicato al lordo e al netto della riduzione prevista dall’articolo 26 della legge n. 41/1986, che attualmente è pari al 5,84%. Stante il disposto normativo di cui all’articolo 12, comma 3, lettera a), del citato D.I., tale riduzione è comunque applicabile esclusivamente nell’eventualità in cui la prestazione in pagamento risulti pario superiore all’80% della retribuzione teorica, comprensiva di rateo, indicata dall’azienda nel flusso Uniemens.
Massimali assegno emergenziale
Retribuzione tabellare annua lorda (euro)
Importo al lordo della riduzione del 5,84% (art. 26, L. n.41/1986) (euro)
Importo al netto della riduzione del 5,84% (art. 26, L. n.41/1986) (euro)
Inferiore a 42.624,09
2.489,77
2.344,37
Compresa tra 42.624,09 – 56.083,49
2.804,71
Superiore a 56.083,49
3.925,53
4. Fondo Credito Cooperativo
a) Assegno emergenziale
Si riportano i massimali mensili previsti all’articolo 12, comma 3, del D.I. n. 82761/2014 per l’assegno emergenziale, aggiornati per l’anno 2022, nonché le retribuzioni mensili di riferimento per l’applicazione degli stessi.
L’importo indicato in prima fascia, calcolato sull’80% della retribuzione lorda mensile, è indicato al lordo e al netto della riduzione prevista dall’articolo 26 della legge n. 41/1986, che attualmente è pari al 5,84%. Tale riduzione è comunque applicabile esclusivamente nell’eventualità in cui la prestazione in pagamento risulti pario superiore all’80% della retribuzione teorica, comprensiva di rateo, indicata dall’azienda
nel flusso Uniemens.
Massimali assegno emergenziale
Fascia retributiva (euro)
Importo al lordo della riduzione del 5,84% (art. 26, L. n. 41/1986) (euro)
Importo al netto della riduzione del 5,84% (art. 26, L. n. 41/1986) (euro)
Fino a 40.294,43
2.387,97
2.248,51
Superiore a 40.294,43 e fino a 56.200,13
3.211,88
Superiore a 56.200,13
3.735,72
5. Indennità di disoccupazione NASpI
Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 22, la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo delle indennità di disoccupazione NASpI è pari, secondo i criteri già indicati nella circolare n. 94 del 12 maggio 2015 a 1.250,87 euro per il 2022.
L’importo massimo mensile di detta indennità, per la quale non opera la riduzione di cui all’articolo 26 della legge n. 41/1986, non può in ogni caso superare, per il 2022, 1.360,77 euro.
6. Indennità di disoccupazione DIS-COLL
Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 15, comma 4, del decreto legislativo n. 22/2015 la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo dell’indennità di disoccupazione DIS-COLL è pari, secondo i criteri già indicati nella circolare n. 83 del 27 aprile 2015, a 1.250,87 euro per il 2022.
L’importo massimo mensile di detta indennità non può in ogni caso superare, per il 2022, 1.360,77 euro.
7. Indennità di disoccupazione agricola
Per quanto riguarda l’indennità di disoccupazione ordinaria agricola con requisiti normali, da liquidare nell’anno 2022 con riferimento ai periodi di attività svolti nel corso dell’anno 2021, trovano applicazione, in ossequio al principio della competenza, gli importi massimi stabiliti per tale ultimo anno.
Pertanto, tali importi sono pari a quelli indicati nella circolare n. 7 del 21 gennaio 2021 con riferimento ai trattamenti di integrazione salariale, vale a dire a 1.199,72 euro (per ciò che riguarda il massimale più alto) e a 998,18 euro (quanto al massimale più basso).
8. Indennità di disoccupazione a favore dei lavoratori autonomi dello spettacolo (ALAS)
Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 66, comma 12, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo dell’indennità di disoccupazione a favore dei lavoratori autonomi dello spettacolo (ALAS) è pari, secondo i criteri già indicati nella circolare n. 8 del 14 gennaio 2022, a 1.250,87 euro per il 2022.
L’importo massimo mensile di detta indennità non può in ogni caso superare, per il 2022, 1.360,77 euro.
9. Indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO)
Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 388, lettera d), della legge 30 dicembre 2020, n. 178, il reddito da prendere a riferimento per il riconoscimento della prestazione Indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO) nell’anno 2022 (reddito dichiarato nell’anno che precede la presentazione della domanda) è pari a 8.299,76 euro.
Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, commi 392 e 393, della legge n. 178/2020 l’importo mensile dell’ISCRO per l’anno 2022 non può essere di importo inferiore a 254,75 euro e non può superare l’importo di 815,20 euro.
10. Assegno per attività socialmente utili
L’importo mensile dell’assegno spettante ai lavoratori che svolgono attività socialmente utili, a carico del Fondo sociale occupazione e formazione, è pari, dal 1° gennaio 2022, a 607,25 euro. Anche a tale prestazione non si applica la riduzione di cui all’articolo 26 della legge n. 41/1986.
L’ordinanza del Tribunale di Cosenza rappresenta, o dovrebbe rappresentare, un monito per la categoria dei lavoratori operanti nell’ambito del Contratto Collettivo degli autoferrotramvieri, ma più in generale per tutti coloro che si pongono alla guida di un mezzo. In particolare, il Giudice del lavoro ha ritenuto legittimo il licenziamento, e ancor prima la sospensione cautelare, del lavoratore che, in servizio alla guida di un veicolo aziendale, risultava attivo sui social media, inviando post e commenti nonché risposte ad altri utenti. A nulla è valsa l’impugnazione da parte del lavoratore di fronte alla documentazione prodotta dall’azienda che è riuscita a ricostruire i fatti e le circostanze oggetto di addebito e ricondurli al lavoratore.
Il Tribunale ha ritenuto che la condotta addebitata rappresenta giusta causa di licenziamento attesa “l’incompatibilità della stessa con le mansioni svolte (guida di veicoli aziendali)”. I fatti sarebbero tali da giustificare “il provvedimento espulsivo, anche in termini di proporzionalità, considerata la particolare natura dell’attività svolta e il grado massimo di attenzione che si deve pretendere da chi si pone alla guida di un automezzo, a protezione dell’incolumità degli utenti del servizio e più in generale della sicurezza della circolazione stradale“.
Civile Sent. Sez. Lavoro n. 6497/ 2021 – sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione
La vicenda va preliminarmente inquadrata nel contesto normativo di riferimento. Il d. Igs. n. 216/2003, nel dare “Attuazione alla direttiva 2000/78/qE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”, ha stabilito, tra l’altro, che “Il principio di parità di trattamento senza distinzione … di handicap … si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale” con specifico riferimento anche alla seguente area: “occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento” (art. 3, comma 1, lett. b).
A seguito della condanna dell’Italia, da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per inadempimento alla citata direttiva, il d.l. 28 giugno 2013, n. 76, ha inserito nel testo dell’art. 3 del d. Igs. n. 216/2003, un comma 3 bis del seguente tenore: “Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori“.
Nel diritto interno si rinviene una disciplina settoriale nella I. 12 marzo 1999, n. 68, recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” attraverso “servizi di sostegno e di collocamento mirato” che prevede, tra l’altro, che i lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia“, questi non costituiscono giustificatomotivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori” (art. 4, co. 4, I. n. 68 del 1999).
Altra fonte interna è rappresentata dall’art. 42 del d. Igs. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, secondo il quale il datore di lavoro, ove le misure indicate dal medico competente prevedano una inidoneità alla mansione specifica, “adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori“.
Sul piano della tutela, per il caso del licenziamento del lavoratore in condizione di inidoneità fisica o psichica ovvero di disabilità, il comma 7 dell’art. 18 della I. n 300 del 1970, come modificato dalla I. 28 giugno 2012 n. 92, ha previsto l’applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro e del pagamento di un’indennità non superiore a 12 mensilità per il caso in cui si accerti “il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della I. n. 68 del 1999, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore.
La Corte di Cassazione ha cercato di operare, nel quadro complesso, frutto di successive stratificazioni normative, di livello interno e internazionale, la sua funzione nomofilattica, ritenendo che gli “accomodamenti ragionevoli“, in tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di handicap, sussiste l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro ‘ai fini della legittimità del recesso, secondo una interpretazione conforme agli obiettivi della direttiva 2000/78/CE.
Conseguentemente la Corte ha ribadito il principio che, ai fini della legittimità del licenziamento del lavoratore per inidoneità fisica sopravvenuta, sussiste l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi, si è ritenuto che gli stessi debbano essere adottati “secondo il parametro (e con il limite) della ragionevolezza” e che in particolare occorre tenere conto “del limite costituito dall’inviolabilità in peius (art. 2103 c.c.) delle posizioni lavorative degli altri prestatori di lavoro”, nonché evitare “oneri organizzativi eccessivi (da valutarsi in relazione alle peculiarità dell’azienda ed alle relative risorse finanziarie)”, stante l’esigenza del “mantenimento degli equilibri finanziari dell’impresa”.
Con la recente sentenza la Corte di Cassazione, forse sulla scorta dell’impennata degli infortuni, talvolta mortali, che si sono purtroppo verificati nell’ultimo anno, ha specificato i limiti della reponsabilità datoriale.
“L’obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro, e che trova fondamento nell’art. 32 Cost., oltre che nell’art. 31 della c.d. Carta di Nizza, ove si prevede che “ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose”, è declinato attraverso specifiche disposizioni di legge (tra cui il D.Lgs. n. 81 del 2008) e attraverso la norma di chiusura dettata dall’art. 2087 c.c., così che è imposto al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente previste dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore, in base all’esperienza ed alla tecnica e tenuto conto della concreta realtà aziendale e degli specifici fattori di rischio, sia pure, come è stato precisato, in relazione ad obblighi di comportamento concretamente individuati.”
La mancata attuazione delle misure di prevenzione, specificamente previste da norme di legge oppure esigibili nel caso concreto in base alle regole di prudenza, perizia e diligenza, e idonee ad impedire l’evento lesivo oppure a ridurne le conseguenze, fonda la responsabilità datoriale per il caso di infortunio occorso al lavoratore.
Si è ulteriormente precisato che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti ascrivibili a sua imperizia, negligenza ed imprudenza. La dimensione dell’obbligo di sicurezza che grava sul datore di lavoro comporta che questi sia tenuto a proteggere l’incolumità dei lavoratori e a prevenire anche i rischi insiti nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia dei medesimi nell’esecuzione della prestazione, dimostrando di aver posto in essere ogni precauzione a tal fine idonea.
Con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le misure protettive, comprese quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa del lavoratore, sia quando, pur avendo adottate le necessarie misure, non accerti e vigili affinchè queste siano di fatto rispettate da parte del dipendente .
Mi è stato chiesto un parere legale, da parte di lavoratori (dipendenti pubblici) non vaccinati, soprattutto per evitare di dover sostenere spese continue per i tamponi per accedere ai luoghi di lavoro, per avere una soluzione diversa dalla vaccinazione.
Alla domanda: sapreste consigliarmi come potermi muovere al meglio in questa situazione, la mia risposta, non apprezzata, è la vaccinazione. Non volendo entrare nel merito delle ragioni di chi non si vuole vaccinare, il mio consiglio è fondato, come dovrebbe essere quello di un professionista, sul principio che un eventuale contenzioso con l’amministrazione, datrice di lavoro, vedrebbe il lavoratore soccombente.
L’orientamento della giurisprudenza, formatasi in questi ultimi mesi nei Tribunali di merito, tra cui Roma, Modena, Verona, nonché la giurisprudenza amministrativa (v. Consiglio di Stato), è di non accogliere i ricorsi dei lavoratori, specialmente in ambito sanitario, in ragione della tipologia delle mansioni espletate e della specificità del contesto lavorativo e dell’utenza seguita o servita, promossi contro l’assolvimento dell’obbligo vaccinale .
Il rifiuto della somministrazione, non giustificato da cause di esenzione e da specifiche condizioni cliniche, costituisce impedimento di carattere oggettivo all’espletamento della prestazione lavorativa.
Per queste ragioni, per non affollare gli uffici giudiziari con ricorsi che difficilmente avrebbero probabilità di successo, non per una posizione ideologica, il mio parere è e rimane quello di rispettare l’obbligo vaccinale laddove, per la categoria di appartenenza, sia stata disposta l’obbligatorietà.
Corte di Appello di Venezia – sentenza 27 luglio 2020 n. 258
Interessante intreccio tra due questioni rilevanti in ambito lavorativo che riguardano la divulgazione di informazioni-notizie attinenti all’ambito di lavoro e la giusta causa di licenziamento.
Il fatto riguarda la divulgazione, da parte di una dipendente, di un video postato in una chat privata tra colleghi di un punto vendita. Alla dipendente era stato contestato di avere inviato, a tutti dipendenti della società, di tutti i punti vendita, un filmato effettuato all’interno dei locali del negozio in cui era ripreso lo Store manager del punto vendita, “mentre usciva dal bagno in mutande con una bottiglia di urine in mano”.
La dipendente, a seguito della divulgazione del video era stata licenziata per giusta causa, consistente nell’aver posto in essere una condotta denigratoria verso la società o la clientela.
I giudici del lavoro, del Tribunale prima e della Corte poi, hanno affrontato sia la questione della A)violazione della libertà e segretezza della corrispondenza sia della giusta causa di licenziamento, nella fattispecie concreta.
A) Sotto il primo profilo, ancorché la giurisprudenza non sia ancora unanime, la Corte d’Appello di Venezia giungeva alla conclusione che, seppur privata, la chat non era stata “violata da soggetti estranei. Infatti si trattava di gruppo nominativo di iscritti – in via approssimativa almeno una quindicina – senza che in alcun modo sia stato allegato che la comunicazione al call center sia avvenuta ad opera di soggetti estranei che abusivamente abbiano avuto accesso alla chat. È stato agevole concludere, per il giudice, che la comunicazione all’esterno sia avvenuta ad opera di uno dei partecipanti con l’evidente intento di delegittimare, non uno di essi, ma il protagonista del video, ossia il responsabile del negozio. Pertanto, la prova del video era perfettamente utilizzabile.
B) Tuttavia, nonostante l’utilizzabilità della prova filmata, la Corte non ha ritenuto la violazione discpilinare talmente grave da legittimare il licenziamento. La Corte ha ritenuto ” la valenza disciplinare del fatto addebitato tuttavia” ha escluso “che la condotta contestata assuma tale gravità da giustificare il licenziamento”. Ancora la Corte di Venezia ha affermato che fermo restando ” il disvalore del comportamento addebitato, va messo in evidenza che si è trattato di condotta avente carattere episodico, che ha interessato un numero limitato di soggetti presso i quali il video è stato diffuso, per cui tale capacità lesiva si è mantenuta in limiti tali che la sanzione disciplinare adottata risulta del tutto sproporzionata”. Per tale motivo ha ritenuto più congruo, tenuto conto della dimensione aziendale e della relativa anzianità lavorativa della dipendente (assunta a tempo indeterminato dal gennaio 2014 e licenziata il 2 marzo 2018, quindi, poco più di quattro anni) un’indennità pari a 17 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 10-07-2020) 14-09-2020, n. 19062
“Secondo il più recente indirizzo di legittimità, dovendo ritenersi prevalente l’interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto, questi ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, gravando quindi sul datore di lavoro, cui è generalmente riservato il diritto di scelta del tempo delle ferie, dimostrare – ove sia stato investito di tale richiesta – di aver tenuto conto, nell’assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza dei periodo di comporto.”
Comincia la scuola e le famiglie fanno i conti con permessi e congedi per la malattia dei figli. Quest’anno si aggiungono, al resto, tutte le conseguenze legate alla pandemia e quarantena. In soccorso, ma soltanto fino al 31.12.2020, vengono le disposizioni previste dal decreto DL 08/09/2020, n. 111, che di seguito viene trascritto:
Art. 5. Lavoro agile e congedo straordinario per i genitori durante il periodo di quarantena obbligatoria del figlio convivente per contatti scolastici
1. Un genitore lavoratore dipendente può svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena del figlio convivente, minore di anni quattordici, disposta dal Dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente a seguito di contatto verificatosi all’interno del plesso scolastico. 2. Nelle sole ipotesi in cui la prestazione lavorativa non possa essere svolta in modalità agile e comunque in alternativa alla misura di cui al comma 1, uno dei genitori, alternativamente all’altro, può astenersi dal lavoro per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena del figlio, minore di anni quattordici, disposta dal Dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente a seguito di contatto verificatosi all’interno del plesso scolastico. 3. Per i periodi di congedo fruiti ai sensi del comma 2 è riconosciuta, in luogo della retribuzione e ai sensi del comma 6, un’indennità pari al 50 per cento della retribuzione stessa, calcolata secondo quanto previsto dall’articolo 23 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, a eccezione del comma 2 del medesimo articolo. I suddetti periodi sono coperti da contribuzione figurativa. 4. Per i giorni in cui un genitore fruisce di una delle misure di cui ai commi 1 o 2, ovvero svolge anche ad altro titolo l’attività di lavoro in modalità agile o comunque non svolge alcuna attività lavorativa, l’altro genitore non può chiedere di fruire di alcuna delle predette misure. 5. Il beneficio di cui al presente articolo può essere riconosciuto, ai sensi del comma 6, per periodi in ogni caso compresi entro il 31 dicembre 2020.
Si è posto qualche problema interpretativo nelle ipotesi di coniugi separati e di compimento del 14° anno nel periodo della quarantena.
Nella prima ipotesi, potrebbe rilevare l’affidamento esclusivo concordato tra i coniugi ovvero disposto dal Giudice oppure il collocamento preferenziale in caso di affido condiviso. Ove non sia stato previsto o disposto il collocamento preferenziale presso uno dei genitori, il diritto dovrebbe spettare ad entrambi, quanto meno nel periodo in cui ognuno di essi ha la custodia del figlio.
L’altro problema interpretativo, per motivi di opportunità e di tutela di diritti costituzionalmente garantiti, dovrebbe risolversi nel senso di proseguire con il regime vigente al momento in cui insorge la malattia e quindi inzia la quarantena, consentendo al genitore di continuare a beneficiare del congedo.