Ulteriori chiarimenti su autovelox – Omologazione obbligatoria degli apparecchi diversa da approvazione

Corte di Cassazione Sezione 5 Penale Sentenza 14 marzo 2025 n. 10365

La recente pronuncia della sezione penale della Cassazione ha stabilito che la procedura di approvazione e quella di omologazione degli apparecchi di rilevazione della velocità in conformità al dettato normativo di cui all’art. 192 terzo comma del Reg. di esec. del Codice stradale (in attuazione dell’art. 45 co. 6 del medesimo codice, che espressamente distingue l’approvazione dall’omologazione). In particolare per “l’omologazione è richiesto un accertamento, anche mediante prove, da parte dell’Ispettorato Generale per la circolazione e la sicurezza stradale del ministero dei Lavori pubblici, che si avvale, ove necessario, del parere del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, con specifico riferimento alla rispondenza e alla efficacia dell’oggetto di cui si richiede l’omologazione alle prescrizioni stabilite dal Regolamento (art. 192 comma 2 cit.); analogamente, “omologazione” ed “approvazione” sono distinte anche in base al dato testuale degli artt. 142 comma 6 C.D.S. e 345 comma 2 del Regolamento” (cit. sentenza 10365/2025).

I giudici hanno potuto constatare che il “prototipo T-EXSPEED V 2.0 prodotto dalla società KR. Srl installato e utilizzato per la rilevazione della velocità, non risulta essere mai stato (n.d.r.: non solo omologato ma nemmeno) approvato, “rilevando come lo stesso sia composto da un “‘unità di ripresa” e da una distinta “unità di elaborazione” – quella specificamente e minuziosamente deputata al calcolo della velocità – e come la certificazione di conformità al prototipo, asseritamente depositato in quanto approvato, della produttrice KR. fosse comunque riferita soltanto all’unità di ripresa (delle immagini) e non a quella, evidentemente cruciale ed esiziale, della elaborazione” (cit. sentenza 10365/2025) della velocità.

In precedenza, anche il Consiglio di Stato, sentenza n. 5693/2008, si era espresso nel senso della distinzione tra la procedura di approvazione e quella di omologazione, come successivamente affermato anche dalla Cassazione Civile con l’ordinanza n. 10505 del 18 aprile 2024, la quale ha ulteriormente precisato che “non possono avere un’influenza sul piano interpretativo le circolari ministeriali , le quali sembrerebbero avallare una possibile equipollenza tra omologazione ed approvazione, basata, però, su un approccio che, per l’appunto, non trova supporto nelle suddette fonti primarie e che, in quanto tali, non possono derogate da fonti secondarie o da circolari di carattere amministrativo“. Testualmente la Corte di Cassazione dispone che: ” In tema di violazioni del codice della strada per superamento del limite di velocità, è illegittimo l’accertamento eseguito con apparecchio autovelox approvato ma non debitamente omologato“.

Si potrebbe azzardare e giungere alla conclusione che neppure nel caso di una rilevazione di un eccesso di velocità talmente evidente la violazione possa essere sanzionata.

Sinistro tra auto e animale – Cass. Civ. n. 7580/2025 – Responsabilità della Regione

In tema di scontro tra un veicolo e un animale la giurisprudenza è stata spesso altalenante, configurando la fattispecie ora sotto la disposizione dell’art. 2043 c.c., con onere della prova a carico del danneggiato, ora sotto quella dell’art. 2052 c.c., con onere a carico del proprietario dell’animale.

Fondamentale passaggio, nell’evoluzione giurisprudenziale, ormai consolidata, è stato proprio quello di individuare quale fosse il soggetto legittimato passivo ovvero responsabile. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto che la fauna selvatica sia di proprietà della Regione. Infatti, alle regioni la legge attribuisce il potere di “emanare norme relative alla gestione ed alla tutela della fauna selvatica” (art. 1, comma 3, l. 157/92): ed è principio antico ed indiscusso del diritto civile che l’attribuzione di qualsiasi potere comporta l’assunzione delle connesse responsabilità.

Pertanto la Regione, ha facoltà di sciogliersi dal vincolo di responsabilità soltanto dando la prova del caso fortuito, secondo un criterio di distribuzione del rischio che si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà degli animali, con la concorrente responsabilità per fatto degli stessi.

La Cassazione afferma il principio che l’abbagliamento dai raggi solari non rientra nelle ipotesi di caso fortuito e il conducente è tenuto alla massima cautela per potersi fermare in presenza di prevedibili ostacoli.

Il principio è affermato nella recente pronuncia della Suprema Corte – quarta sezione penale – con la quale non è stata riconosciuta l’ipotesi del caso fortuito e il conseguente esonero da responsabilità del soggetto agente, “trattandosi di un fenomeno naturale, la cui insorgenza è del tutto prevedibile in determinate circostanze“. Corte di Cassazione – Sezione 4 Penale – Sentenza, 1 febbraio 2023 n. 4155

LESIONI – INFORTUNIO PORTE SCORREVOLI – ENTRARE IN UN SUPERMERCATO NON SEMPRE GENERA OBBLIGHI CONTRATTUALI – CASSAZIONE CIVILE N. 16224/ 2022

Una sentenza emessa dal Tribunale di Reggio Emilia, confermata dalla Corte di Appello di Bologna e dalla Corte di Cassazione, rigettava la domanda proposta da una cliente nei confronti della xxxx s.r.l., avente ad oggetto il risarcimento del danno conseguente all’infortunio occorsole il 19 ottobre 1999, allorché, mentre usciva dal locale del supermercato gestito dalla convenuta dopo aver fatto la spesa, era stata violentemente colpita dalle porte a scorrimento automatico, chiusesi all’improvviso, riportando lesioni
personali.

L’eccezione di prescrizione quinquennale, sollevata dalla società convenuta, unita alla argomentazione che la responsabilità non avesse natura contrattuale (comportante l’applicazione del termine di prescrizione decennale, non ancora decorso), quale responsabilità scaturente dalla violazione di obblighi derivanti dal contratto di vendita stipulato tra la società gestrice del supermercato e la sua cliente, inducedvano il Tribunale a ritenere che la domanda di risarcimento non potesse essere accolta.

La Corte ha evidenziato che l’interesse del cliente di un supermercato a conservare la propria integrità fisica dinanzi al fatto dannoso che può verificarsi all’interno dei locali dello stesso, è un interesse che riceve tutela nella vita di relazione a prescindere dall’acquisto delle merci ivi poste in vendita, e la cui lesione costituisce danno ingiusto risarcibile a titolo di responsabilità extracontrattuale.
Precisamente, allorché il danno sia cagionato dalle cose che si trovano all’interno dei locali del supermercato, si integra, nel concorso di tutti gli altri elementi costitutivi, l’ipotesi speciale di responsabilità extracontrattuale di cui all’art.2051 c.c., con conseguente obbligo risarcitorio in capo al custode delle cose medesime.

RISARCIMENTO DEL DANNO PATRIMONIALE – DANNO MORALE

Talvolta il cliente, a fronte di un danno patrimoniale, chiede il risarcimento anche del danno morale, ponendo il professionista, laddove non vi siano i presupposti, nella scomoda posizione di fornire un parere negativo.

In soccorso viene utile una recente pronuncia della Corte di Cassazione [Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 26/07/2021, n. 21398] che non riconosce dovuto il danno morale nell’ipotesi di inadempimento di una compagnia telefonica tale da impedire l’uso del telefono fisso, quale che ne sia la durata.

non può legittimare alcuna pretesa al risarcimento di danni non patrimoniali in quanto il diritto a comunicare con un solo telefono non è un diritto fondamentale della persona, perché non necessario alla sopravvivenza, e l’impedimento dell’uso del telefono non menoma né la dignità, né la libertà dell’essere umano, né costituisce violazione di alcuna libertà costituzionalmente garantita, tanto meno quella di comunicare.

Danni causati da specie protette rientranti nel patrimonio indisponibile dello Stato e responsabilità della Regione

Importante arresto della Cass. Sez. III Civ. 20 aprile 2020, n. 7969 in materia di danni causati da specie protette rientranti nel patrimonio indisponibile dello Stato, specie per chi abita in zone di campagna adiacenti a centri abitati.

Ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato, la Suprema Corte ha ritenuto che si debba applicare il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, quale ente a cui spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte da altri enti.
La decisione si innesta in un panorama eccessivamente incerto avvertendosi l’esigenza di una  uniformità di applicazione del diritto civile su tutto il territorio nazionale.
“L’affermazione per cui l’ente “legittimato passivo” in relazione all’azione risarcitoria per i danni causati dalla fauna selvatica protetta è esclusivamente quello cui sarebbe spettato in concreto porre in essere la condotta omessa causativa del danno ha, del resto, portato a ricostruzioni non sempre coincidenti delle medesime legislazioni regionali, ed a sostenere talvolta e/o a negare altre volte (anche in relazione alla medesima regione) che avesse rilievo una determinata delega di funzioni amministrative e/o che la stessa potesse dirsi “concretamente attuata”, ovvero che una determinata condotta omessa spettasse ad un ente o ad un altro, e/o fosse o meno esigibile dall’uno o dall’altro. Ciò senza contare che talvolta la stessa responsabilità delle Regioni e delle Province è stata considerata concorrente ed altre volte esclusiva.”

La Corte ha pertanto deciso che “ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della L. n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonchè le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che “si serve”, in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità.

 

Responsabilità del tasto “mi piace” di Facebook

Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, 29 luglio 2019, C-40/17

La Corte di Giustizia UE, ha stabilito che il gestore di un sito internet, il quale abbia deciso che, per maggiore visibilità, il visitatore possa cliccare il tasto “mi piace” di Facebook, appositamente inserito sul suo sito, è responsabile  congiuntamente con la Facebook Ireland, delle ope- razioni di raccolta e di comunicazione mediante trasmissione dei dati di cui trattasi, dal momento che si puo` concludere che la Fashion ID e la Facebook Ireland ne determi- nano, ognuno per i rispettivi interessi, i motivi e le finalita`.

In particolare, la Corte ha stabilito una corresponsabilita` tra il gestore del sito e Facebook per le operazioni di raccolta e di comunicazione, mediante trasmissione dei dati, in ragione del fatto che sia il titolare del sito internet sia Facebook ne traggono un  vantaggio economico.

Risarcimento del danno – PERSONALIZZAZIONE

Cass. civ., 29 maggio 2019 n. 14364

 

L’operazione di “personalizzazione” del danno, in sede di liquidazione, impone al giudice di far emergere, dandone conto in motivazione, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari, e ciò in quanto le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’«id quod plerumque accidit» (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

GUIDA IN STATO DI EBBREZZA

Cass. civ., 9 luglio 2019 n. 18324

È vessatoria la clausola del contratto di assicurazione Rc auto che prevede la rivalsa della compagnia per i danni provocati dal sinistro se il conducente guidava in stato di ebbrezza.

Così la Suprema Corte: “Le clausole di polizza, che delimitino il rischio assicurato, ove inserite in condizioni generali su modulo predisposto dall’assicuratore, sono soggette al criterio ermeneutico posto dall’art. 1370 cod. civ., e, pertanto, nel dubbio, devono essere intese in senso sfavorevole all’assicuratore medesimo”; cfr. in termini Cass., 3, n. 668 del 18/1/2016: “Nell’interpretazione del contratto di assicurazione, che va redatto in modo chiaro e comprensibile, il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all’ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., e, in particolare, a quello dell’interpretazione contro il predisponente, di cui all’art. 1370 c.c.”)

DANNO NON PATRIMONIALE

Diritti della personalità – Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 19/02/2019, n. 4815

Interessante decisione in tempi di social, la Cassazione ritiene che in tema di risarcimento dei danni, il danno recato alla reputazione, da inquadrare nell’ambito della categoria del danno non patrimoniale disciplinato nel codice civile dall’art. 2059 c.c., deve essere inteso in termini unitari, senza distinguere tra “reputazione personale” e “reputazione professionale“, intesi come unico bene da tutelare e, pertanto, non suscettibile di distinte domande risarcitorie, trovando la tutela di tale diritto, il proprio fondamento nell’art. 2 Cost. e, in particolare, nel rilievo che esso attribuisce alla dignità della persona in quanto tale.